Il giovannita e il trovatore

Il nome del gran maestro Folco de Villaret, è leggendario tra i cavalieri dell’Ordine di San Giovanni, di ieri e di oggi. Fu tra i più amati e celebrati poiché fu colui che restituì ai Giovanniti una sede permanente (Rodi) dopo la disfatta in Terra Santa e la fine del Regno di Gerusalemme.

Molto meno ci si ricorda, invece, del suo protetto e confidente, cavaliere dell’ordine anch’esso, che gli fu senz’altro di grande ispirazione. Noto con nomi diversi era costui il Comte de Proensa Rostaingh o Raimond Berenguier (1198-1245), uno dei più celebri trovatori provenzali, nobile marsigliese Conte di Barcellona (con il nome di Raimondo Berengario V di Barcellona di Provenza) e di Provenza (con il nome di Raimondo Berengario IV di Provenza).

Tale era la sua bravura da essere uno dei tre soltanto ad aver composto un’estampida (estampie), un particolare testo poetico accompagnato dalla musica e da recitarsi “picchiando con i piedi”, come una vera e propria danza: “La dousa paria”.

Tra le opere di cui è autore, poi, si ricordano e studiano ancora il poemetto in onore del suo mentore, in cui ne celebra le virtù guerriere paragonandone lo sguardo a quello di fuoco del basilisco e il “Pos de sa mar man cavalier del Temple” in cui biasima i Templari e gli Ospitalieri che tergiversano in occidente, anziché por mano alla crociata.

Quest’ultimo fu scritto ben prima che fossero mosse accuse ai Pauperes Commilitones e desta stupore poiché usa quello che sarà il futuro degli uni per ammonire anche gli altri, rendendoli uguali per destino: “E poiché li hanno (lo ben)/ per riconquistare il Sepolcro,/ e invece li mandano in malora menando scandalo nel secolo/ e ingannando la gente di questo mondo/ scimmiottando Golia e Saul, credo/ che siano venuti a noia a Dio; poiché da lungo tempo/ essi, e quelli dell’Ospedale insieme a loro,/ hanno sopportato che il miscredente popolo dei Turchi/ si sia impadronito di Gerusalemme e di Acri,/ poiché sono, nel darsi alla fuga, più veloci d’un falcone sacro:/ per tutto ciò, mi pare un torto/ che il secolo non se ne purghi!”.

È per altro strano un tale biasimo da parte del Comte de Provence, specialmente perché, nonostante ciò, alla sua morte vorrà trovare riposo fra le braccia dell’Ordine. Il suo corpo giace ancora nell’antica chiesa del Priorato giovannita di Aix en Provence, costruita dai cavalieri tra il 1270 e il 1280 sulle rovine della precedente chiesa del 1251, che da allora è il mausoleo di famiglia dei Conti di Provenza. Il più grande ospitale della regione sorgeva (e ancora sorge, sotto le mentite spoglie del Museo Granet) proprio li accanto.

Ci sono teorie sul perché di questa poetica “uscita” del trovatore, ma nessuna riesce a renderne veramente merito in ogni sfaccettatura, lasciando perciò aperto il campo alla possibilità che vi siano sensi e significati nascosti, inaccessibili. Di questi, che probabilmente accesero perfino le fantasie di Nostradamus, che volle redigere una sua biografia (breve e imprecisa), bisognerebbe chiedere a lui e a lui soltanto. O forse sarebbe capace di farvi luce un suo ben più noto coetaneo, il “poverello di Assisi”, battezzato con il nome di “Giovanni” ma poi chiamato Francesco dal padre, proprio per gli stretti rapporti della famiglia con la Provenza, tanto che il futuro santo parlava correntemente la lingua dei trovatori. Forse il patrono d’Italia, era ben più che un semplice poeta. Il Cantico delle Creature, invero, ha strane “assonanze” con certe opere dei cantastorie ed è ben più di un’ipotesi che esso possa appartenere a quella tradizione.

Chissà che non si siano conosciuti Francesco d’Assisi, nato Giovanni e il Comte de Proensa valente cavaliere giovannita…